mercoledì 12 giugno 2013

Balducci, Morin e altro...



A proposito di Morin...

Dialogo tra Ernesto Balducci ed Edgar Morin

Ernesto Balducci Edgar Morin, Ripensare la politica - (1)

Dialogo del 17 Gennaio 1991 nella trasmissione "Le tribù della Terra" sulla Terza Rete Rai - Presentazione di Patrizia Lotti 10 Ottobre 2003
  
Questa interlocuzione tra padre Balducci e il sociologo francese Edgar Morin, a cui do il benvenuto, si svolge la sera del 17 gennaio del 1991, primo giorno della guerra nel Golfo. E' necessario più che mai rispondere con la parola al mostro della guerra, tentare cioè di discernere quell'uccello di Minerva che vola al crepuscolo, una figura dell'Occidente che Morin ama e che incarna una prospettiva così diversa dal volo notturno degli uccelli tecnologici, carichi di volontà di dominio, nel cielo di Baghdad. L'Occidente può riflettere tutte le sue contraddizioni in questa vicenda in un'area che è incrocio tra modrnità e fondamentalismo, tra Nord e Sud, tra laicità politica e integralismo politico-religioso, tra mondo islamico e mondo cristiano, tra nazionalismi giovani e progetti neo-coloniali globali.

Un aforisma caro a Morin e tratto da Holderlin: "Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva". Avrà occasione di giustificare questa speranza apocalittica che noi condividiamo. Si è convenuto di assegnare a lui più tempo nell'ora in programma; è consenziente padre Balducci il cui pensiero è ormai familiare al pubblico che lo segue in questi appuntamenti da oltre tre anni. 


Qualche cenno su Edgar Morin, molto fuggevole ma necessario. Il tema fondamentale della sua opera è da tempo la trasformazione della complessità planetaria di tutto ciò che è umano in dimensione politica. Una società, dice, può progredire in complessità solo se progredisce in solidarietà, la solidarietà non imposta ma interiormente sentita e vissuta come fraternità. Egli sostiene che "la presa di coscienza del problema della solidarietà deve condurre alla volontà - cito - di farlo uscire dai bassifondi infrapolitici nei quali è rimosso, e di farne un problema centrale". E' il potere politico uno dei luoghi che egli vede come luoghi di frattura, oggi.

Il tema di questa sera, 'Ripensare la politica', si accende di bagliori tragici di urgenze politiche. In questa terra di nessuno che è diventata la politica gli interrogativi che poniamo assumono un carattere estremo. Il primo: quali indicazioni può darci la crisi del Golfo e la guerra attuale per la trasformazione della pratica politica e della scienza politica? Come trasformare la solidarietà da principio etico a scienza politica?

Il secondo: se il diritto non può confondersi con la spada - una spada che potrebbe essere atomica - con quali mezzi scientifici, etici, simbolici si può pensare di raggiungere la fondazione di un nuovo diritto che sia adeguato alla coscienza e alla complessità strutturale dell'uomo planetario, più di quanto lo sia quello fondato, come sua fonte, come suo soggetto privilegiato, sulla sovranità nazionale? Con la fine dell'equilibrio bipolare molti hanno l'impressione che l'egemonia globale di una sola grande potenza stia scatenando una anarchia giuridica nel senso che il criterio costitutivo delle relazioni non è tanto la regola giuridica o morale che si dice di voler intronizzare ma la pura forza.

Terzo: come produrre - tema che emerge nelle più recenti riflessioni di Edgar Morin - un deperimento consistente dello stato nazionale per costruire un soggetto politico mondiale, un soggetto politico cioè idoneo al governo effettivo di problemi ormai irriducibili alla scala regionale?
Cito fra alcuni maggiori la tutela ambientale, la questione energetica, la sicurezza, la distruzione egualitaria delle risorse materiali della terra.

Sono temi emergenti nella dottrina di Morin, nella riflessione di padre Balducci, nella coscienza collettiva di oggi. Ringrazio Morin di aver accettato di venire da Parigi per riflettere con noi su questo nostro futuro ed ho l'onore di dargli la parola.
Giancarlo Zizola
di Patrizia Lotti
10 Ottobre 2003

Allora, ripensare ... prima di tutto questo titolo: "Ripensare la politica". E' evidentemente un tema riflessivo che avevamo scelto chiaramente senza prevedere gli eventi ma che si trova qui posto il primo giorno di una guerra che è un problema e un tema di vita e di morte. In che modo possiamo far incontrare questi due temi? Voglio cercare di mostrare di farli incontrare in modo non artificiale.

Prima di tutto "Ripensare la politica" implica porsi in funzione del problema seguente: "che cosa possiamo sperare?". Questo problema si pone in modo quasi disperato quando si è in guerra, ma è una questione che viene posta fin dalla Rivoluzione francese, da Kant: che cosa possiamo sperare? Sperare sulla terra. E per cercare di trattare questa questione bisogna effettivamente riflettere di nuovo sull'uomo: che cos'è l'uomo nella vita? che cos'è l'uomo nel mondo? Intendiamoci, non tratterò qui questa parte della riflessione, tratterò invece il secondo aspetto: quello della riflessione sul nostro mondo umano. E questa riflessione deve partire dal fatto che dalla scoperta dell'America siamo entrati nell'era planetaria.

Dalla scoperta dell'America il virus, il microbo della tubercolosi europea si è diffuso tra le popolazioni indiane e quello della sifilide è giunto in Europa e si è spinto, in capo a quindici anni, fino in Cina. C'è stata una prima unificazione microbica a scapito degli umani in ambo le parti. E poi, lo sapete, la patata, il granturco, il pomodoro sono arrivati in Europa e si sono impiantati, mentre il cavallo, il grano sono giunti in America. L'Europa è diventata 'tabagica', l'America è diventata 'alcolica' e poi attraverso i secoli e soprattutto attraverso la colonizzazione, in modo dunque brutale e dominatore, si è giunti all'unificazione del mondo.

In questo secolo ci sono state guerre, guerre mondiali, il che significa che l'era planetaria, l'unificazione si attua principalmente nel conflitto e nell'atrocità. In altri termini siamo tutti solidali, ogni fatto che accade alla Borsa di New York o a Bagdad si ripercuote in tutto il mondo. Siamo tutti solidali, ogni mattina ciascuno di noi prende un tè che viene dall'India o un caffè che proviene dalla Colombia, oppure indossa un maglione fatto a Taiwan con una maglietta di cotone egiziana o indiana; si ascoltano le informazioni su una radio fabbricata in Giappone e tutto il giorno, in qualche modo, viviamo senza saperlo una vita planetaria. Siamo come un momento di un ologramma dove ciascuno porta con sé il microcosmo. Ma malgrado tutto ciò, non abbiamo il senso di questa solidarietà e diciamo che la tragedia sta nel fatto che l'umanità non riesce a nascere come umanità. Tuttavia abbiamo raggiunto qualche presa di coscienza capitale durante gli ultimi vent'anni. La presa di coscienza ecologica non è soltanto una presa di coscienza locale, ma è la consapevolezza che la biosfera, il nostro ambiente vitale, è un qualcosa che la crescita industriale incontrollata tende a distruggere e questa distruzione tende a sua volta a distruggerci. Abbiamo preso coscienza che la terra stessa è una sorta di sistema con la sua autonomia, la sua organizzazione, la sua propria vita.

Ci siamo resi conto, grazie allo sviluppo delle ricerche preistoriche, che c'è una radice unica degli uomini e che la loro dispersione attraverso lingue e culture è un fatto secondo, che la differenza non è un fenomeno principale e, attraverso le diverse culture e le diverse lingue, si sono manifestate molteplici ricchezze. Ma oggi dobbiamo sapere che questa diaspora è terminata, che è giunto il momento della comunicazione e della riconciliazione, ma sappiamo disgraziatamente che la vera comunicazione non si realizza tramite le telecomunicazioni.

Dunque abbiamo ormai tutte le ragioni convergenti per considerarci cittadini non solo del nostro paese o non solo nel nostro continente, ma cittadini della Terra-Patria. Ma, per diventare tali, per riconoscere questo fatto della Terra-Patria, si affaccia un'esigenza fondamentale: bisogna superare il potere assoluto dello Stato-nazione; come nell'89 la Rivoluzione francese aveva abolito il potere assoluto del re e cambiato sovrano, allo stesso modo oggi bisogna distruggere non le nazioni, non gli stati, ma il loro assolutismo. Capiamo che sotto gli stati esistono delle diversità che vogliono vivere ed avere la loro autonomia, ma comprendiamo anche che al di sopra dello stato ci sono realtà che possono essere trattate e pericoli che possono essere affrontati soltanto su un piano comune. Ben inteso, questa concezione della Terra-Patria non deve essere una concezione omogeneizzante, quanto una concezione che non solo rispetti ma cerchi di fortificare la diversità umana. Sapete tutti che la diversità è il tesoro della biologia e della biosfera, che la diversità è il tesoro dell'umanità culturale e che la diversità di idee, di opinioni è il tesoro della vita democratica. Ebbene, queste idee generali valgono per capire il problema del Medio Oriente.

Il problema del Medio Oriente ci appare di una estrema singolarità e talmente diverso da noi, talmente lontano e strano che non vi scorgiamo niente in comune con noi. Ma, di fatto, la singolarità del Medio Oriente deriva principalmente dall'incontro esplosivo di grandi correnti planetarie che raggiungono in Medio Oriente il loro massimo antagonismo: la corrente della civiltà occidentale e, nello stesso tempo, quella delle grandi civiltà orientali, in Medio Oriente principalmente islamiche. E' l'incontro fra il Nord e il Sud. Il Medio Oriente non è il Sud, non è il Terzo Mondo, non è un paese dell'Africa e nemmeno il Nord. E' un qualcosa di ibrido fra il Nord e il Sud. E' l'incontro disgraziatamente antagonista delle tre grandi religioni del Libro: Islam, Cristianesimo, Giudaismo con interferenze atroci come tutti sappiamo. E' l'incontro tra le grandi correnti laiche, e le grandi correnti religiose. E' l'incontro tra la modernità ed il fondamentalismo. E, a questo punto, occorre capire un po' questo fenomeno del fondamentalismo, così potente in questi paesi.

Quali sono i due elementi che permettono di capire il fondamentalismo, cioè il ritorno, la volontà di tornare alla tradizione e alle origini prime di ciò che costituisce l'identità religiosa?
Per l'appunto ecco dei paesi di vecchia civiltà nei quali è dilagata la civiltà occidentale, le tecniche, i modi di vita, cioè quella tendenza che tenta di omogeneizzare il pianeta secondo il nostro modello. E allora la difesa dell'identità è portata ad un rientro, ad una ritrazione e si ha l'impressione che si possa salvare l'identità solo attraverso questo ritorno alle origini fondamentali.

Ma c'è una seconda spiegazione a questo fondamentalismo sviluppatosi nel corso degli ultimi vent'anni. Il fatto è che in questi paesi ci sono stati dei potenti movimenti rivoluzionari; bisogna pensare che il Baath, il famoso Baath (in Iraq, Saddam Hussein ne è il leader) era un movimento rivoluzionario e laico e che c'è stata una speranza di uscire dall'arretratezza, di cambiare attraverso la rivoluzione. Ora c'è stata una decadenza, una perdita nella speranza della rivoluzione, vale a dire una perdita di futuro, di un futuro radioso, della promessa di futuro. Questa perdita del futuro la viviamo tutti, tutti, anche qui in un altro mondo: il cosiddetto futuro radioso è crollato totalmente in URSS e nelle democrazie popolari. Per noi il futuro, il futuro promesso dalla scienza, dal progresso, dalla ragione, ebbene non è più garantito, niente ci assicura che il futuro sarà meglio del presente. E quando il futuro crolla che cosa rimane? O resta il presente, cioè dove si vive alla giornata senza guardare più in là del proprio naso, oppure cerchiamo di aggrapparci al passato. Il fondamentalismo si spiega anche con la perdita del futuro. Dunque questa opposizione modernità-fondamentalismo così violenta, così virulenta in Medio Oriente, è tuttavia un problema che si pone effettivamente in tutte le culture.

E tutte queste opposizioni si situano in una regione in cui ci sono dei nazionalismi esacerbati perché si tratta di stati recenti nati dalla decomposizione dell'impero ottomano le cui frontiere sono state tracciate in modo arbitrario dai colonizzatori che hanno esercitato il protettorato tra le due guerre, ed ognuno di questi stati ingloba o opprime una etnia, una religione. Per di più, questi stati combattono l'uno contro l'altro nell'intento di rapprensentare il leader arabo con in aggiunta la presenza di quello stato che appare loro incistato dall'esterno, lo stato di Israele.

Dunque in queste condizioni comprendiamo che il Medio Oriente nella sua stessa singolarità è il microcosmo, la parte che contiene il tutto del nostro mondo, sono i nostri problemi ma esasperati e in un certo senso è il nostro specchio. E' dunque una visione estremamente semplificatrice quella di vedere soltanto la singolarità del Medio Oriente invece di renderci conto che esso riguarda anche noi. Riguarda anche noi, certo, perché è una polveriera, una polveriera può far saltare la terra, ma è la polveriera del nostro mondo con tutti gli antagonismi che minacciano il nostro futuro. Penso che essere capaci di considerare questo problema in questo modo complesso significhi essere nello stesso tempo più capaci di considerare i nostri propri problemi. E se fossimo stati capaci di esaminarli, vale a dire se l'ONU, che aveva acquisito una certa forza dopo l'affaire del Kuwait, si fosse orientato in questa prospettiva, allora avremmo cominciato ad affrontare non solo quei problemi ma anche i nostri problemi planetari.

C'è un secondo elemento di complessità nel Medio Oriente. In Medio Oriente i problemi non sono separabili, ognuno rimanda all'altro. Se consideriamo che Saddam Hussein ha compiuto un atto di rapina in Kuwait e che per di più domina un popolo che non ha il diritto di disporre di se stesso, possiamo dire che la Siria ha compiuto un atto di rapina, in Libano, molto più abile e che Israele domina il popolo palestinese che vuole avere il suo stato per non parlare poi del problema dei Kurdi divisi fra quattro stati. Non si può esaminare un elemento senza esaminare gli altri. C'è un superamento in ogni paese e possiamo analizzare questo superamento solo se lo si tratta in modo globale. Se, in più, pensate a Gerusalemme, città tre volte santa per tre ragioni, ebbene proprio Gerusalemme dovrebbe, in questa tragica vicenda, svolgere il ruolo di questa unità, di città libera, di terra aperta.
In queste condizioni vediamo chiaramente che questo problema è inseparabile ed è per questo, credo, che il rifiuto del linkage, come ha detto il segretario di stato Backer, cioè di associare il ritiro dal Kuwait agli altri problemi, cioè il rifiuto di associare il ritiro dal Kuwait di Saddam Hussein all'esame di una Conferenza Internazionale sul Medio Oriente, questo rifiuto, a mio parere, può condurre soltanto all'arbitrario. Forse è questo rifiuto che ci ha portati all'attuale guerra. Se il problema avesse potuto essere posto due mesi fa forse (non lo so, non possiamo predire adesso retrospettivamente ciò che non è successo), ma sembra risultare da tutti i dati, sarebbe stata la soluzione che avrebbe potuto essere accettata. E adesso siamo in una condizione in cui la complessità politica ci obbliga a pensare che la soluzione militare può risolvere alcuni problemi, può creare problemi più gravi di quelli che risolve e soprattutto non è la guerra che risolverà i problemi fondamentali del Medio Oriente. E' per questo che in questa attuale situazione nella quale la guerra è cominciata, processo che ormai non possiamo più controllare tramite le normali vie politiche, dobbiamo mantenere questa esigenza di qualunque cosa accada, se la guerra termina vittoriosamente e rapidamente (è evidentemente auspicabile che una guerra finisca presto), quali che siano le ipotesi bisogna trattare in una conferenza internazionale questo problema del Medio Oriente.
Credo di essermi dilungato un po' troppo, il mio tempo per parlare diminuisce come una pelle di zigrino ..., ciò che vorrei dire è che oggi quando pensiamo questa guerra, dobbiamo fare le ipotesi più differenti perché non è detto che il problema rimarrà chiuso nel contesto militare-strategico dell'Iraq e del Kuwait. Immaginate ... è soltanto un'ipotesi ma in fondo è così che hanno luogo i grandi eventi, sempre inaspettatamente e improvvisamente perché non si dà ascolto alle ipotesi. Supponete effettivamente che in diversi paesi d'Europa si scatenino degli attentati terroristici che colpiscano alla cieca alcune popolazioni civili. In questi paesi d'Europa c'è una numerosa popolazione di immigrati; penso alla Francia, alla Germania, ad altri paesi. Subito si svilupperà e si rafforzerà un sentimento di xenofobia e di razzismo il quale è già molto presente e sarà ancor più virulento. Se in più c'è crisi economica, abbiamo tutte le condizioni per una gigantesca regressione della democrazia nei nostri paesi perché non dobbiamo credere alla visione ingenua e alla giornata che abbiamo delle democrazie in tasca, come un bene garantito ... Credo che "ripensare la politica" sia rompere un pensiero unidimensionale, un pensiero specializzato, un pensiero che allontana sempre il contesto. Perché è questo ciò su cui voglio terminare. Un pensiero politico normale prende i problemi isolatamente gli uni dagli altri. E' disgraziatamente Cartesio ad avere detto che il modo di risolvere una difficoltà consiste nel separare il problema 'in pezzettini' e di risolverli uno dopo l'altro. Facendo così, non si risolve niente!
Al contrario, un altro francese contemporaneo di Cartesio, Pascal, diceva in modo profondo: tutte le cose sono causate e causanti, sono tutte unite da un legame che unisce imperccettibilmente le più lontane le une dalle altre. Ed è per questo che considero impossibile conoscere le parti se non conosco il tutto e considero impossibile conoscere il tutto senza conoscere bene le parti. E' di questo tipo di pensiero che abbiamo bisogno in politica e, nel caso specifico, significa che tutto deve essere riallacciato al contesto cui si riferisce. Questo primo abbozzo parziale che vi ho fatto significa questo: certo, potete prendere il Kuwait, potete prendere l'Iraq, ma bisogna collegarli al Medio Oriente. Certo potete prendere l'Oriente e chiuderlo, ma occorre riallacciarlo alla nostra situazione planetaria.

Inoltre:

Ernesto Balducci Edgar Morin, Ripensare la politica - (3)

e... 

Ernesto Balducci Edgar Morin, Ripensare la politica - (4)



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